Ogni società umana, al
fine di garantire la propria sopravvivenza, ha da sempre avuto, quale scopo
imprescindibile, quello di tramandare alle nuove generazioni i propri valori fondamentali
e le proprie conoscenze, attraverso modelli di trasmissione del sapere che consentissero
ai propri membri di poter acquisire competenze, informazioni e soluzioni
operative su come vivere nel gruppo e su quali regole seguire.
L’insieme di questi
elementi concorre a formare un vero e proprio sistema educativo, elemento
necessario ed indispensabile ad ogni aggregazione umana, conseguentemente risulta
corretto affermare che il concetto di educazione è innato al concetto di
società umana.
Tuttavia, volendo un periodo
storico in cui si inizia a delineare la fisionomia di istituti volti a fornire
educazione, intesi nel senso moderno, e, conseguentemente identificare le prime
competenze del personale volto a fornire i servizi di educazione, è indispensabile
prendere a riferimento il Concilio di Trento del 1563, durante il quale, al
fine di combattere l’eresia luterana, dopo la riforma protestante, si decise di
impostare in modo nuovo l’educazione dei giovani, creare delle precise linee
educative con obiettivi e contenuti prefissati, al fine di impartire una solida
formazione che seguisse una precisa linea educativa: per tali esigenze iniziarono
a sorgere i seminari.
Nello stesso periodo, i
gesuiti, ordine religioso in cui il concetto di educazione, formazione e la
diffusione della conoscenza risultano porsi come loro precipua e specifica
missione, decisero di creare delle strutture educative a servizio non tanto di
chi fosse desideroso – o costretto- di abbracciare la vita religiosa, ma quanto
piuttosto indirizzate a coloro che intendevano divenire membri attivi della
società laica, ed ottenere una solida educazione e formazione: si costituirono i
primi collegi per i laici.
Ancora oggi le
strutture educative poste in essere dai gesuiti risultano ai primi livelli per
qualità educativa.
Con la bolla del papa
Clemente XIV del 21 luglio 1773 si destrutturò la Compagnia del Gesù, circostanza
che ebbe ripercussioni su tutte le opere dei gesuiti, inclusi i collegi.
In tale contesto Ferdinando
IV di Borbone, re del Regno di Napoli, decise di occupare gli spazi vuoti
lasciati dai gesuiti per creare una educazione di Stato, idea che culminò con l’editto
del 1 agosto 1778. Possiamo definire tale circostanza estremamente lungimirante
e anticipatrice del concetto moderno di educazione perché si trattò del primo
caso in cui lo Stato si faceva promotore di una educazione laica, e come tale,
al fine di organizzare tutte le strutture educative e, con esse i programmi, si
iniziò a realizzare un organo centrale deputato a coordinare la funzione educativo-scolastica.
Il concetto di
educazione di Stato fu sempre più apprezzato nella società moderna borghese,
tanto che lo stesso Napoleone riconobbe ai convitti o collegi un ruolo
fondamentale nella formazione dei futuri giovani.
Si assiste dunque
all’evoluzione del concetto di educazione e scolarizzazione da affare privato -
che le famiglie nobiliari risolvevano entro le mura delle proprie abitazioni
attraverso la figura del precettore, che, adottava proprie metodologie
educative - ad elemento fondante la società
di cui lo Stato deve farsi carico.
Ma vi è di più:
l’educazione non diventa soltanto Statale ma anche aperta a chi non ha i mezzi
economici e sociali per poterselo permettere: si inizia a parlare di educazione
per tutti.
Nel 1807 nell’Italia
cisalpina si iniziarono a fondare dei convitti pubblici e, sull’influsso
dell’aristocrazia francese, nel tentativo di emancipare il più possibile le
donne e iniziare a renderle partecipi della società civile, sorsero specifiche
strutture volte all’educazione delle stesse, avviando, in tal modo anche
l’istituzione degli educandati femminili.
Il Regno di Sardegna,
con provvedimento legislativo del 4 ottobre 1848 n. 819 istituì i primi
convitti, destinatari di una particolare attenzione da parte del re Carlo
Alberto, il quale deputava questi istituti come luoghi specifici in cui si
potesse formare la futura borghesia.
Nel 1859 con la riforma
Casati si separarono i convitti dai licei, distinguendo il concetto di educazione
da quello di istruzione, e con esso si avviò un lungo dibattito tra scuola e
convitto.
L’unificazione del
Regno d’Italia, basandosi sul concetto di fondare una nuova classe di cittadini,
diede maggiore spazi all’educazione, e nel 1931 un Reggio Decreto autorizzava i
convitti nazionali ad istituire classi o corsi complementari. Evidentemente si
creava un dualismo tra scuole e convitti, a totale discapito dei convitti, ed a
favore delle scuole, strutture più snelle ed in grado di operare, grazie alla
versatilità, in vari contesti. Tale dibattito giunse alla legge 150/67 proposta
dall’onorevole Luigi Caiazza, che, essendo un rettore di convitto nazionale,
ben conosceva le peculiarità di detti istituti e mirò a risolvere tale
conflitto, tuttavia senza riuscirvi.
Le successive riforme
della scuola, ed i decreti delegati del 1974 poco hanno influito sui convitti
se non l’istituzione del ruolo del personale educativo che veniva equiparato a
quello dei maestri elementari.
In base alla attuale
normativa il personale educativo risulta equiparato, ai maestri, salvo le
peculiarità della loro professione, ed il CCNL del comparto scuola prevede uno
specifico capo destinato a tali professionisti.
Il quadro finora
realizzato ha visto come protagonista l’istanza educativa ed istruttiva nei
confronti di coloro che oggi vengono definiti come “normodotati”; ma fin dalla
notte dei tempi l’umanità è stata sempre caratterizzata dalla presenza di
soggetti “diversi” in quanto meno abili o non abili in determinate
attività/competenze a causa di menomazioni fisiche e/o psichiche. Tali soggetti
per tanto tempo, forse troppo, sono stati emarginati ed esclusi dalle scuole e
dai convitti, quasi a significare che per loro l’educazione non poteva avere
effetti né che potevano considerarsi meritevoli di cure educative come tutti
gli altri coetanei considerati normali.
Merita, a tal
proposito, un breve accenno l’evoluzione delle istituzioni educative destinate
agli audiolesi.
Per avere una
attenzione della società nei confronti degli audiolesi bisogna attendere il XVI
secolo: infatti, sino a quella data, i pregiudizi nei confronti delle persone
sorde erano anche di tipo giuridico; i sordi erano privi di diritti civili,
come testimoniare, ereditare, acquistare. Il pregiudizio sull’ineducabilità del
sordo discendeva da quanto affermato da Aristotele che, nel De Sensu, sosteneva che l’udito fosse la
migliore di tutte le facoltà per l’intelligenza ed il linguaggio.
Successivamente, grazie
al lavoro del medico Salomone Alberto e il benedettino Padre Ponce de Leon si
iniziò a rivalutare le persone sorde, elaborando specifici modelli educativi; una
delle prime scuole pubbliche per sordi nasce in Francia a Parigi nel 1771 ad
opera dell’abate de l’Epee, scuola successivamente trasformata in istituto
nazionale.
In Italia la prima
scuola per sordi nasce a Roma nel 1784 ad opera dell’abate Silvestri, allievo
di l’Epee, seguita da altre nelle principali città.
La riforma Gentile del
1923 estende nei confronti dei ciechi e dei sordi l’istruzione obbligatoria
sino a sedici anni.
Nel maggio del 1942
nasce l’Ente Nazionali per Sordi (ENS), tuttavia, a causa della guerra iniziò
la sua attività con lentezza, successivamente con il DPR 616/77 l’ENS venne
trasformato in ente morale di diritto pubblico, il personale e la gestione
delle scuola passò al Ministero dell’Istruzione.
Infine, in forza del DPR
31 ottobre 1981 n. 1148, i convitti speciali per sordi sono passati in gestione
al Ministero della Pubblica Istruzione, assumendo la denominazione di istituti
per sordi e audiofonolesi.
Ad oggi i convitti
risultano porsi come appendici del sistema scolastico, sia per esiguità di
strutture che, conseguentemente di personale.
In Italia è quasi
totalmente assente una adeguata previsione normativa volta al rilancio, o anche
ad un pieno utilizzo di tali strutture che, da un lato vengono quasi totalmente
ignorate, dall’altro gli viene riconosciuta una ampia valenza educativa e
formativa, luoghi ideali dove poter continuare l’antica opera di formazione dei
cittadini del domani, basti pensare che il nuovo indirizzo di liceo classico
europeo, istituto superiore in cui si acquisisce il diploma sia italiano che
francese e dove le attività collaterali a quelle scolastiche sono ideate
proprio per formare i futuri cittadini europei possono istituirsi solo nelle
scuole annesse ai convitti.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.