martedì 18 febbraio 2014

I CONVITTI ED IL PERSONALE EDUCATIVO: EVOLUZIONE GIURIDICA E SOCIALE.

Ogni società umana, al fine di garantire la propria sopravvivenza, ha da sempre avuto, quale scopo imprescindibile, quello di tramandare alle nuove generazioni i propri valori fondamentali e le proprie conoscenze, attraverso modelli di trasmissione del sapere che consentissero ai propri membri di poter acquisire competenze, informazioni e soluzioni operative su come vivere nel gruppo e su quali regole seguire. 
L’insieme di questi elementi concorre a formare un vero e proprio sistema educativo, elemento necessario ed indispensabile ad ogni  aggregazione umana, conseguentemente risulta corretto affermare che il concetto di educazione è innato al concetto di società umana.
Tuttavia, volendo un periodo storico in cui si inizia a delineare la fisionomia di istituti volti a fornire educazione, intesi nel senso moderno, e, conseguentemente identificare le prime competenze del personale volto a fornire i servizi di educazione, è indispensabile prendere a riferimento il Concilio di Trento del 1563, durante il quale, al fine di combattere l’eresia luterana, dopo la riforma protestante, si decise di impostare in modo nuovo l’educazione dei giovani, creare delle precise linee educative con obiettivi e contenuti prefissati, al fine di impartire una solida formazione che seguisse una precisa linea educativa: per tali esigenze iniziarono a sorgere i seminari.
Nello stesso periodo, i gesuiti, ordine religioso in cui il concetto di educazione, formazione e la diffusione della conoscenza risultano porsi come loro precipua e specifica missione, decisero di creare delle strutture educative a servizio non tanto di chi fosse desideroso – o costretto- di abbracciare la vita religiosa, ma quanto piuttosto indirizzate a coloro che intendevano divenire membri attivi della società laica, ed ottenere una solida educazione e formazione: si costituirono i primi collegi per i laici.
Ancora oggi le strutture educative poste in essere dai gesuiti risultano ai primi livelli per qualità educativa.
Con la bolla del papa Clemente XIV del 21 luglio 1773 si destrutturò la Compagnia del Gesù, circostanza che ebbe ripercussioni su tutte le opere dei gesuiti, inclusi i collegi.  
In tale contesto Ferdinando IV di Borbone, re del Regno di Napoli, decise di occupare gli spazi vuoti lasciati dai gesuiti per creare una educazione di Stato, idea che culminò con l’editto del 1 agosto 1778. Possiamo definire tale circostanza estremamente lungimirante e anticipatrice del concetto moderno di educazione perché si trattò del primo caso in cui lo Stato si faceva promotore di una educazione laica, e come tale, al fine di organizzare tutte le strutture educative e, con esse i programmi, si iniziò a realizzare un organo centrale deputato a coordinare la funzione educativo-scolastica.
Il concetto di educazione di Stato fu sempre più apprezzato nella società moderna borghese, tanto che lo stesso Napoleone riconobbe ai convitti o collegi un ruolo fondamentale nella formazione dei futuri giovani.
Si assiste dunque all’evoluzione del concetto di educazione e scolarizzazione da affare privato - che le famiglie nobiliari risolvevano entro le mura delle proprie abitazioni attraverso la figura del precettore, che, adottava proprie metodologie educative - ad elemento fondante la società  di cui lo Stato deve farsi carico.
Ma vi è di più: l’educazione non diventa soltanto Statale ma anche aperta a chi non ha i mezzi economici e sociali per poterselo permettere: si inizia a parlare di educazione per tutti.
Nel 1807 nell’Italia cisalpina si iniziarono a fondare dei convitti pubblici e, sull’influsso dell’aristocrazia francese, nel tentativo di emancipare il più possibile le donne e iniziare a renderle partecipi della società civile, sorsero specifiche strutture volte all’educazione delle stesse, avviando, in tal modo anche l’istituzione degli educandati femminili.
Il Regno di Sardegna, con provvedimento legislativo del 4 ottobre 1848 n. 819 istituì i primi convitti, destinatari di una particolare attenzione da parte del re Carlo Alberto, il quale deputava questi istituti come luoghi specifici in cui si potesse formare la futura borghesia.
Nel 1859 con la riforma Casati si separarono i convitti dai licei, distinguendo il concetto di educazione da quello di istruzione, e con esso si avviò un lungo dibattito tra scuola e convitto.
L’unificazione del Regno d’Italia, basandosi sul concetto di fondare una nuova classe di cittadini, diede maggiore spazi all’educazione, e nel 1931 un Reggio Decreto autorizzava i convitti nazionali ad istituire classi o corsi complementari. Evidentemente si creava un dualismo tra scuole e convitti, a totale discapito dei convitti, ed a favore delle scuole, strutture più snelle ed in grado di operare, grazie alla versatilità, in vari contesti. Tale dibattito giunse alla legge 150/67 proposta dall’onorevole Luigi Caiazza, che, essendo un rettore di convitto nazionale, ben conosceva le peculiarità di detti istituti e mirò a risolvere tale conflitto, tuttavia senza riuscirvi.
Le successive riforme della scuola, ed i decreti delegati del 1974 poco hanno influito sui convitti se non l’istituzione del ruolo del personale educativo che veniva equiparato a quello dei maestri elementari.
In base alla attuale normativa il personale educativo risulta equiparato, ai maestri, salvo le peculiarità della loro professione, ed il CCNL del comparto scuola prevede uno specifico capo destinato a tali professionisti.
Il quadro finora realizzato ha visto come protagonista l’istanza educativa ed istruttiva nei confronti di coloro che oggi vengono definiti come “normodotati”; ma fin dalla notte dei tempi l’umanità è stata sempre caratterizzata dalla presenza di soggetti “diversi” in quanto meno abili o non abili in determinate attività/competenze a causa di menomazioni fisiche e/o psichiche. Tali soggetti per tanto tempo, forse troppo, sono stati emarginati ed esclusi dalle scuole e dai convitti, quasi a significare che per loro l’educazione non poteva avere effetti né che potevano considerarsi meritevoli di cure educative come tutti gli altri coetanei considerati normali.
Merita, a tal proposito, un breve accenno l’evoluzione delle istituzioni educative destinate agli audiolesi.
Per avere una attenzione della società nei confronti degli audiolesi bisogna attendere il XVI secolo: infatti, sino a quella data, i pregiudizi nei confronti delle persone sorde erano anche di tipo giuridico; i sordi erano privi di diritti civili, come testimoniare, ereditare, acquistare. Il pregiudizio sull’ineducabilità del sordo discendeva da quanto affermato da Aristotele che, nel De Sensu, sosteneva che l’udito fosse la migliore di tutte le facoltà per l’intelligenza ed il linguaggio.
Successivamente, grazie al lavoro del medico Salomone Alberto e il benedettino Padre Ponce de Leon si iniziò a rivalutare le persone sorde, elaborando specifici modelli educativi; una delle prime scuole pubbliche per sordi nasce in Francia a Parigi nel 1771 ad opera dell’abate de l’Epee, scuola successivamente trasformata in istituto nazionale.
In Italia la prima scuola per sordi nasce a Roma nel 1784 ad opera dell’abate Silvestri, allievo di l’Epee, seguita da altre nelle principali città.
La riforma Gentile del 1923 estende nei confronti dei ciechi e dei sordi l’istruzione obbligatoria sino a sedici anni.
Nel maggio del 1942 nasce l’Ente Nazionali per Sordi (ENS), tuttavia, a causa della guerra iniziò la sua attività con lentezza, successivamente con il DPR 616/77 l’ENS venne trasformato in ente morale di diritto pubblico, il personale e la gestione delle scuola passò al Ministero dell’Istruzione.
Infine, in forza del DPR 31 ottobre 1981 n. 1148, i convitti speciali per sordi sono passati in gestione al Ministero della Pubblica Istruzione, assumendo la denominazione di istituti per sordi e audiofonolesi.
Ad oggi i convitti risultano porsi come appendici del sistema scolastico, sia per esiguità di strutture che, conseguentemente di personale.

In Italia è quasi totalmente assente una adeguata previsione normativa volta al rilancio, o anche ad un pieno utilizzo di tali strutture che, da un lato vengono quasi totalmente ignorate, dall’altro gli viene riconosciuta una ampia valenza educativa e formativa, luoghi ideali dove poter continuare l’antica opera di formazione dei cittadini del domani, basti pensare che il nuovo indirizzo di liceo classico europeo, istituto superiore in cui si acquisisce il diploma sia italiano che francese e dove le attività collaterali a quelle scolastiche sono ideate proprio per formare i futuri cittadini europei possono istituirsi solo nelle scuole annesse ai convitti.